Io conosco una donna di nome Carla, così piccola che la chiamano Carletta.
Tutto è piccolo in lei, persino i capelli di un centimetro. Però ha una forza e una volontà da gigante. Suo padre le ha lasciato un campo nell'entroterra, un po' seminato, un po' “a serbu”.
Lei ha preso con energia i suoi due uomini...il marito, e il figlio, e li ha portati davanti a quel campo con queste parole: "Ora qui, ci facciamo la nostra casa!".
Il noi è puramente dialettico. Nei suoi discorsi invece questa piccola casa è stata fatta dal figlio Carlo... Carlo qui, Carlo là, Carlo è andato fino a Luserna a prendere le pietre... ha comprato le 550 lance di ferro della cancellata.
E' vero, Carlo è un gran bel ragazzo. Alto, forte, giovane, mentre la Carla è tutta nervi e volontà.
Non c'è una scatola di cetrioli sotto aceto di cui lei non riesca a girare il tappo. Non c'è tappo di bottiglia che resista alla sua forza. Estrae, comprime, stende... con le sue mani che sono la metà delle mie.
Naturalmente mette in tutto una volontà di ferro. Non faccio a tempo a dire dov'è l'aspirina che mi dice: "Vado io, ho la macchina qui sotto, ci metto un attimo".
Quello dell'attimo è diventato il suo slogan.
Per lei non esiste il tempo passato. Un po' il presente e tutto il futuro. Io non riesco ad immaginare come il figlio e il marito riescano a vivere al suo ritmo. Esausti.
E io, impaziente: “E col tetto, è finita la storia della casa?”
“Mancu pe’ ninte!” Io sono stato zitto e ho pensato alle sue poesie… non finiscono mai!
La casa, invece, la Carletta, dopo 8 anni l’ha finita, “in tu frattempu a l’è diventò veggia”.