Me l’hanno portata via. La luce, in due anni, è diventata ombra.

Qualcuno mi dice: “poteva andare peggio”… Quasi che il dolore fosse aritmetica. La moglie me l’hanno rubata: hanno tolto i colori che le appartenevano. Un fascino dolce e aggressivo. Con quel modo di essere femmina e madre. Mio padre, quando la incontrava, le chiedeva: “Come vanno i tuoi cinque figli?”. Cinque, perché lui, nella somma, metteva anche me. Non conosceva l’ironia, ma toglieva dramma alla vita.
Con la moglie, non ci litigo più. E lei non alza il sopracciglio per ricordarmi le scadenze amorose. Si cammina insieme, nel ricordo… non è una soluzione. Anzi, la tristezza diventa più concreta. E’ come sfogliare, io e lei, i miei libri verdi. E chiudere gli occhi.
Quando ne parliamo, il discorso cade sempre su Celle, il paese dove, anni fa, l’ho vista e conosciuta. A Celle, finita la guerra, la spiaggia è la sola ‘ricchezza’. Piana, facile da camminare, dà un senso di libertà. Il mare è spazio, pulizia e gioia di stare a galla… Non c’è più la paura di ‘cadere a fondo’, ma il piacere di essere in costume, il lusso di stare al sole senza lavorare.
Con la moglie, non ci litigo più. E lei non alza il sopracciglio per ricordarmi le scadenze amorose. Si cammina insieme, nel ricordo… non è una soluzione. Anzi, la tristezza diventa più concreta. E’ come sfogliare, io e lei, i miei libri verdi. E chiudere gli occhi.
Quando ne parliamo, il discorso cade sempre su Celle, il paese dove, anni fa, l’ho vista e conosciuta. A Celle, finita la guerra, la spiaggia è la sola ‘ricchezza’. Piana, facile da camminare, dà un senso di libertà. Il mare è spazio, pulizia e gioia di stare a galla… Non c’è più la paura di ‘cadere a fondo’, ma il piacere di essere in costume, il lusso di stare al sole senza lavorare.
Poca democrazia.

Oggi è tempo di confusione sociale... allora, di una borghesia uscita dalla guerra. Pochi ‘signori’ avevano le sdraio davanti. E tutti gli altri ‘scalavano’ in 2° e 3° fila.
Gli ‘ombrelloni di famiglia’ erano piantati in prima. Sdraio e sedie a pochi metri dal mare… ‘poltrone’ con l’acqua a disposizione. Un confine di ricchezza, che tutti rispettavano.
Le mareggiate erano una festa. Eventi da fotografare con il gusto di esserne fuori. I bagnini portavano su gli ombrelloni lontano dalla riva e quelli dietro finivano attaccati al muro dei servizi. Finito il Libeccio, la sabbia, là davanti, era rastrellata. Gli ombrelloni riprendevano nome e cognome di appartenenza. Non erano piazzole ristrette, numerate a computer, dove è necessario essere magri per passarci. Erano cerchi, anzi circoli: tre, quattro sdraio per i ‘grandi’ e la sabbia per noi ragazzi. Io qualche volta, da solo, mi inventavo dei giochi diversi: eserciti di fiammiferi colorati e zoccoli che diventavano balestre. I grandi parlavano tra di loro e nessuno si nascondeva dietro gli occhiali da sole.
Il mare non era un’opportunità… non c’erano tennis o golf. Il mare, in quegli anni, si pagava e si doveva sfruttare anche in certe domeniche di agosto. Ricordo quando le domestiche scendevano in spiaggia, tutte vestite di nero, con cestini per la frittata e verdure ripiene… qualcuno apparecchiava anche sulla battigia. E non capivo se fosse un vero piacere o esibizione per l’arrivo di un fotografo di mestiere.
Gli ‘ombrelloni di famiglia’ erano piantati in prima. Sdraio e sedie a pochi metri dal mare… ‘poltrone’ con l’acqua a disposizione. Un confine di ricchezza, che tutti rispettavano.
Le mareggiate erano una festa. Eventi da fotografare con il gusto di esserne fuori. I bagnini portavano su gli ombrelloni lontano dalla riva e quelli dietro finivano attaccati al muro dei servizi. Finito il Libeccio, la sabbia, là davanti, era rastrellata. Gli ombrelloni riprendevano nome e cognome di appartenenza. Non erano piazzole ristrette, numerate a computer, dove è necessario essere magri per passarci. Erano cerchi, anzi circoli: tre, quattro sdraio per i ‘grandi’ e la sabbia per noi ragazzi. Io qualche volta, da solo, mi inventavo dei giochi diversi: eserciti di fiammiferi colorati e zoccoli che diventavano balestre. I grandi parlavano tra di loro e nessuno si nascondeva dietro gli occhiali da sole.
Il mare non era un’opportunità… non c’erano tennis o golf. Il mare, in quegli anni, si pagava e si doveva sfruttare anche in certe domeniche di agosto. Ricordo quando le domestiche scendevano in spiaggia, tutte vestite di nero, con cestini per la frittata e verdure ripiene… qualcuno apparecchiava anche sulla battigia. E non capivo se fosse un vero piacere o esibizione per l’arrivo di un fotografo di mestiere.
Cristina: “Più vecchio di così non si può!”.
“Non dirlo tu, perché vieni di là. Se tu sei architetta lo devi a loro!”.

I bagnini erano gente tosta, gente che non aveva paura di nulla.
Di loro si diceva:
"I Bruzzone? Hanno 'u muru bun' ".
Tutto braccia e quei piedi che non entravano nelle scarpe.
Nessun fischietto, e con un solo capo.
Ai Lido comandava Lorenzo. La sera controllava tutto dalla terrazza dello chalet. Un insieme di cemento, legno e vetri. Ritrovo ‘metafisico’ di tè, gelati e ramino pokerato. Lorenzo era anche ‘l’Uomo meteo’. Spiava mare, nuvole e vento per riassumere il tempo del giorno dopo. Anche per questo vestiva di bianco da capo a piedi… e portava un golf con le trecce, bianco anche quello.
Cristina: “Lei parla dall’oltretomba…”. A scrivere di quel tempo che pur è esistito. In quegli anni in cui potevano nascere emozioni, prima di essere amori. Niente e nulla a prima vista. Si stava sulla boa, una gamba vicino all’altra e si alzava l’acqua con i piedi.
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Donna e ragazza.

Un giorno vedo Agata uscire dal mare, allora più donna che ragazza. Alta e sicura delle sue forme. Un costume nero, aderente e legato con malizia solo sulla spalla. Si buttava indietro i capelli, umidi e neri… e sapeva di essere vista. Per me era bella e qualcosa di più, di diverso.
L’ho immaginata femmina, ma pura e intoccabile. Desideri nascosti, ma tutto sotto controllo.
Da un ombrellone all'altro.
Da quella prima volta ho cominciato a spiare il suo ombrellone. Era a 30 passi dal mio, in prima fila. Anche lei si voltava a guardare, senza un gesto o un sorriso. Guardarsi era già un sentimento. Anche oggi si vive di occhiate… ma i costumi non coprono, disegnano più del reale.
Tra le ‘compagnie’ dei bagni c’era gelosia. Io la superavo. Mi mettevo là, davanti al tabaccaio, aspettando Agata rientrare dalla spiaggia. C’era il manifesto del film al Cinema Giardino. Sufficiente un cenno o una domanda: “L’hai visto?... Puoi venire?”. Anche se mi rispondeva con un “Vedrò”… io, la sera, correvo per primo al cinema. Buttavo il golf sulla sedia accanto, senza sapere se lei sarebbe venuta. Sedere uno vicino all’altra era già una conquista. Cristina: “La moglie, la mette oggi e ieri, come se fosse fuori dal tempo”. |
Il diploma per le Nozze d’Oro firmato da un sindaco. In 50 anni si entra e si esce dall’amore: quando sembra di averlo smarrito, lo ritrovi. E si confondono date, guerre e armistizi. Cristina: “Mi parli dei suoi ricordi… dei momenti importanti”. Il giorno del matrimonio, nella Basilica di S. Ambrogio. Ero così emozionato che ho passato tutta la cerimonia a ripetere l’Ave Maria… E non ho capito bene quel ‘Per Sempre’ richiesto dal cerimoniale. Un ‘pagherò’, drammatico nella sua scadenza. |
Non lo so. In quarant’anni ho scritto molte poesie, pensando ad Agata, ragazza, moglie e amante. Quando si inventava l’amore, così, al momento, dovunque ci trovassimo. Nell’albergo della luna tra un gozzo e l’altro, nelle grotte di Celle, a Milano, nei prati all’Idroscalo.
Portavo il Lambrusco di mio padre e le dicevo: “Anche i fiori della pianura possono essere belli!”. Eravamo così giovani che Agata poteva dirmi: “Aspetta, pensa al Milan che perde... alle tue zie suore… ma aspettami!”. Questa era la passione.