Io e l'acqua.Quando esco dalle ‘acque’ di mia madre, faccio un altro tuffo: dal seggiolone mi sono spinto in avanti cadendo nella pentola dei fumenti. Il medico condotto mi ha fasciato la testa e sono rimasto così per mesi.
La mamma ripeteva: “Forse rimarrà cieco”. Mio padre, non so come, trovò la Penicillina dalle truppe americane e guarii. |
A 7 anni vengo ‘spedito’ a Celle Ligure, ‘ospite’ di mia zia Ester. Scopro il mare della Pappaciann’a: un’insenatura protetta da scogli. Un mare senza onde. Così tranquillo, che entro senza saper nuotare. Schiaccio i piombini con i denti…. lego ami e arpette. Sono ancora i ‘giochi’ di un bambino. Il bambino diventerà ragazzo… verrà il tempo delle fiocine, cesti di ami e reti. I ‘ferri del mestiere’ di un pescatore.
Dal bambù al motopeschereccio.
Quando imparo a nuotare, mio padre mi regala una lancetta gialla: la 3G (Giandomenico, Guglielmo e Giuliana). La userò solo io. Sanno che io sono il 'ligure' della famiglia. D'estate remo sino al gavitello, mi ancoro e lancio al largo.
Ascolto i racconti dei pescatori. Allora ce n'erano. Quelli veri, con le squame sulle braccia, pelle scura d'inverno e i piedi larghi e piatti per attaccarsi alla ghiaia e alla sabbia.
Ascolto i racconti dei pescatori. Allora ce n'erano. Quelli veri, con le squame sulle braccia, pelle scura d'inverno e i piedi larghi e piatti per attaccarsi alla ghiaia e alla sabbia.
Quando entro nelle pescherie guardo sempre in alto, alle foto dei pesci. Fisso solo quelli che vivono laggiù, dove il mare è blu e nero. Dove gli occhi sono grandi per vedere i nemici e le spine di difesa si uniscono ai colori delle rocce e del fondo. Dove tutti sono prede e predatori.
Foto dell'amico Chicco Maggioni
Compro un gozzo e i tremagli di profondità... Vado a pescare al largo, dove non si vede terra.
Le mareggiate.
Quando il Libeccio spinge da ponente, sale la mareggiata. ‘Devo’ entrare, anche se ho paura.
I bagnini alzano bandiera rossa e non è previsto, da regolamento esposto, salvare nessuno. Al massimo buttano un salvagente. La mia paura diventa attenzione: vado avanti e indietro… Entro nella schiuma fino al ginocchio per sentire la corrente. Alla fine mi butto e nuoto verso il largo. Qualcuno mi guarda dalla spiaggia o, più lontano, dalla passeggiata.

Quando esco, un bagnino mi fa sempre la stessa domanda:
“Cosa vuole dimostrare signor Spotorno?
Non posso andare a raccontare che quelle ragazze con i capelli pieni di vento… forse parlano di me.
Il mare degli altri.Oggi non si ‘sfida’ il mare, lo si ignora.
Le persone non sanno stare in acqua. Il mare sembra un ‘optional’. Domani potrebbero anche mettere un sipario e dipingerlo sempre calmo e trasparente. Oggi molti o guardano l'orizzonte senza vedere, o vanno in piscina con la famiglia. Le barche, quelle poche, sono dentro ai garage. |
Ostriche e datteri.
Nei giorni di ‘cippa’ il pesce non muove e allora vado in subacquea. Ostriche, ricci e datteri.
Delle ostriche non parlo… i ricci, sono proibiti. Bisogna scovare le femmine… che dall’alto sembrano nere come i maschi. I datteri sono peggio. Mi tuffo sotto la Madonnetta, e faccio rotolare sott’acqua le pietre di tufo fino alla spiaggia.
Delle ostriche non parlo… i ricci, sono proibiti. Bisogna scovare le femmine… che dall’alto sembrano nere come i maschi. I datteri sono peggio. Mi tuffo sotto la Madonnetta, e faccio rotolare sott’acqua le pietre di tufo fino alla spiaggia.
Con il piccone le spacco, una grande fatica per pochi datteri. Mi immagino naufrago che si ciba del mare… e dimentico che a casa ho la doccia calda.
La Sant'Agata.
Il gozzo mi va stretto. I siciliani buttano i palamiti più al largo. Compro una barca da un cantiere di Catania. Scelgo un motore Arona. I cantieri Colombo di Varazze la rifiniscono. E al varo della Sant’Agata mi dico: “Cazzo! Questo è un vero peschereccio!”.
Divenire.Io andavo sempre più al largo e vedevo mio padre pescare i muscoli sempre più a terra. Stava in piedi sullo scoglio.
Così gli ho regalato una lancetta con il suo nome. Niente di originale: i miei doni vengono dal mare. La ‘fantasia’ è stata quella di fargliela trovare con remi e motore, nel salone da pranzo. Ora, asciutta e polverosa, sta in fondo a un box. Aspetta un nipote… che gioca a basket e si ‘distrae’ a Boston. I Maestri: Ali e Ferro.Sono diventato un pescatore andando di barca in barca… di rete in rete. Ali di Celle e Ferro del Solaro sono i miei maestri.
Il primo ripeteva: “Il gozzo deve essere un salotto”. Ferro, invece: “Del mare non si butta via niente”. Si teneva ‘scoglioni’ e ‘gattucci’. |
Con una barca e 2000 metri di rete non era divertimento, ma lavoro. Lassù, dove il mare è blu e nero, il pesce è una sorpresa. Quando esce dall’acqua e lo tiri a bordo, hai un brivido. Se è grosso stai lì a vederlo… anzi, ci guardiamo, io e lui… tutti e due stanchi e stupiti. Se sono aragoste, le prendo e le alzo al cielo.
Complicità.
Con Ali e Dante, è amicizia. Con gli altri pescatori solo rispetto. Quando li trovo di notte, a riva o sugli scogli, non disturbo. Me ne sto seduto sulla sabbia o sullo scoglio vicino. Tra noi c’è sempre una lanterna e neppure la domanda: “Cosa ha preso?”. Il silenzio finisce quando si aggancia il pesce. Cade l’equilibrio dell’attesa… perché portare a terra un pesce sotto la luna….
Cristina mi interrompe: “Si rende conto che stiamo scrivendo un trattato di pesca? Lei è lungo, noioso, non la leggerà nessuno… e le aragoste, qui a Celle , chi le vede più?”.
Pescatore e contadino.
Sono stato uomo di mare: sopra, e dentro le onde. Tutto è cambiato cinque anni fa. Mi hanno messo del titanio nel ginocchio, e mi sono ritrovato come nonno ‘Gambadura’. Come lui, ho lasciato il mare per la terra.
Non è stato facile. Il pescatore è uomo di rischio. Il contadino è uomo di pazienza.
Con il mare scegli tu il momento: ascolti mare e vento… e decidi se uscire. Quando coltivi, accetti i ‘disordini’ del cielo. Chiedo consigli ai contadini. Le risposte sono diverse, quasi fossero segreti. Anche Pietro, il mio migliore amico, mi risponde: “… E perché dovrei saperne io, delle tue fragole?”.
Non è stato facile. Il pescatore è uomo di rischio. Il contadino è uomo di pazienza.
Con il mare scegli tu il momento: ascolti mare e vento… e decidi se uscire. Quando coltivi, accetti i ‘disordini’ del cielo. Chiedo consigli ai contadini. Le risposte sono diverse, quasi fossero segreti. Anche Pietro, il mio migliore amico, mi risponde: “… E perché dovrei saperne io, delle tue fragole?”.

I velisti sono un ‘universo’… E tutto è già stato scritto. Se ne parlo ora, è perché un amico mi ha insegnato una pazienza che non conoscevo.
La prima lezione me l’ha data lui, Ambrogio Fogar. Con lui dividevo coraggio e incoscienza. Nuotava ‘alla marinara’, ma si tuffava dall’alto dei ponti anche di notte. Era un cittadino in giacca a quadretti, e ha ‘doppiato’ Capo Horn in solitaria. Io e Fogar lavoriamo nella stessa società e ci alleniamo insieme… tutte le mattine al campo Pirelli. Ma la vela rimane sempre fuori dalle nostre sfide.
Una sera, a Celle, mi dice: “Domani andiamo a Varazze a fare due traversi”.
Quella mattina salgo con lui sul Surprise. C’è poco vento. La barca ha un buon abbrivio e Ambrogio mette la prua ai Piani d’Invrea.
La prima lezione me l’ha data lui, Ambrogio Fogar. Con lui dividevo coraggio e incoscienza. Nuotava ‘alla marinara’, ma si tuffava dall’alto dei ponti anche di notte. Era un cittadino in giacca a quadretti, e ha ‘doppiato’ Capo Horn in solitaria. Io e Fogar lavoriamo nella stessa società e ci alleniamo insieme… tutte le mattine al campo Pirelli. Ma la vela rimane sempre fuori dalle nostre sfide.
Una sera, a Celle, mi dice: “Domani andiamo a Varazze a fare due traversi”.
Quella mattina salgo con lui sul Surprise. C’è poco vento. La barca ha un buon abbrivio e Ambrogio mette la prua ai Piani d’Invrea.

All’inizio non dice nulla. Dopo comincia a parlarmi, lentamente e sottovoce. Parla a me, ma sembra spiegare a sé stesso. E dice: “Lo senti? Lo capisci questo silenzio? Ascolta il mare. Ti scivola sotto i piedi. La vela vibra e l’albero tira… randa e fiocco trovano armonia”.
Dopo non parla più, dà solo ordini di virata e qualche refolo di ironia: “Stai attento che il boma ti picchia in testa!”…
“La tua Sant’Agata è tutto motore, il mio Surprise un gabbiano”.
E avanti così… “Con la barra hai la barca tra le dita. Il tuo timone è il volante di un tir”. Io sono sempre stato un ‘pesce’. Nuoto lungo e profondo, come se fossi ‘vestito’ dall’acqua. Lui era uomo di superficie, un gabbiano che volava sopra le onde
Le lettere di Ambrogio Fogar.
Prima che Fogar diventasse ‘professionista’ del rischio, abbiamo lavorato per anni insieme. C’era amicizia: la mattina si andava al campo Pirelli, a fare sfide infantili. Chi faceva più flessioni, addominali, ‘braccio di ferro’. Qualche sera eravamo anche più ‘fessi’. Andavamo a buttarci giù dai ponti, nei canali della Brianza. Una notte ho attraversato a nuoto il Ticino. Finito in un deposito di barche, sono stato inseguito da cani neri e da custodi con le pile. Parlavamo anche di sesso e di amore… e di record di coraggio e incoscienza. Credo mi volesse bene.
Poi c’è un episodio che ha deluso entrambi, e si è persa l’amicizia. Dopo esserci ‘lasciati’, Fogar diventa il primo milanese in vela. La città, che conosce solo i navigli, trova il suo “eroe dell’Oceano”.
C’è un incontro successivo. Sono ricoverato alla Madonnina. Vedo arrivare Fogar. Fa due passi e mi mette sul letto il libro: ‘Punto G’. Ci conosciamo, è un regalo che ‘ci può stare’ tra noi. Una suora vuole un autografo, ma quando legge il titolo vola via come colomba smarrita.
Il vero punto di contatto tra lui e me, sono state le lettere. Tre sono importanti, per date e contenuti.
La prima del 13 febbraio ‘78. Dalla zattera. Ambrogio, ormai convinto di morire, naufrago nell’Oceano Atlantico, mi scrive su carta marina. Conservata nel ‘bussolotto’, è recuperata quando i marinai della nave 'Master Stefanos' lo salvano.
Poi c’è un episodio che ha deluso entrambi, e si è persa l’amicizia. Dopo esserci ‘lasciati’, Fogar diventa il primo milanese in vela. La città, che conosce solo i navigli, trova il suo “eroe dell’Oceano”.
C’è un incontro successivo. Sono ricoverato alla Madonnina. Vedo arrivare Fogar. Fa due passi e mi mette sul letto il libro: ‘Punto G’. Ci conosciamo, è un regalo che ‘ci può stare’ tra noi. Una suora vuole un autografo, ma quando legge il titolo vola via come colomba smarrita.
Il vero punto di contatto tra lui e me, sono state le lettere. Tre sono importanti, per date e contenuti.
La prima del 13 febbraio ‘78. Dalla zattera. Ambrogio, ormai convinto di morire, naufrago nell’Oceano Atlantico, mi scrive su carta marina. Conservata nel ‘bussolotto’, è recuperata quando i marinai della nave 'Master Stefanos' lo salvano.
Leggi qui la trascrizione completa
Fogar mi stupisce: la lettera è lunga e curata… è difficile immaginare che sia scritta su una zattera, alla deriva da 25 giorni.
La seconda dell’8 maggio ’78, ha un valore anche maggiore. Fogar è salvo ed è al centro dell’attenzione. Può dimenticare una lettera scritta, con parole così importanti… invece me la spedisce con due righe, tre mesi dopo.
La seconda dell’8 maggio ’78, ha un valore anche maggiore. Fogar è salvo ed è al centro dell’attenzione. Può dimenticare una lettera scritta, con parole così importanti… invece me la spedisce con due righe, tre mesi dopo.
La terza del 25 maggio ’78. Non è scritta da lui ma da Valter Bonatti. Fogar me la ‘gira’ qualche giorno dopo. Bonatti è un nostro idolo… Fogar forse ‘chiama’ lo scalatore per riunire la nostra amicizia.
Fogar e Guglielmo. Una vita insieme.
Questi due uomini sono stati così amici che hanno veleggiato nella vita per quarant'anni.
Leggi l'articolo di Massimo Nicora per il blog dedicato ad Ambrogio Fogar
Torbole, Genova e Isole Incoronate.

Due anni dopo, io e Luigino Nova, siamo sul Garda. A Torbole, scuola di vela. Tutte le mattine usciamo dal porto di Torre del Benaco. E’ presto, fa freddo e noi, come i surfisti tedeschi, non possiamo perdere il Peler.
Solo nel pomeriggio viene l’Ora e si può alzare lo spinnaker. E’ un momento perfetto. Senso del compiuto: fatica e tramonto.
Dopo 6 mesi faccio l’esame a Genova, teoria e pratica. Divento Capitano marittimo di vela e motore oltre le 12 miglia.
La prima traversata è stata da Monfalcone, lungo la costa slava fino a Spalato. Abbiamo rischiato di scuffiare nel vento del Quarnero. Arrivare alle Isole Incoronate è come raggiungere la luna. Questi scogli, quando il mare è vuoto di vento, galleggiano come vulcani grigi e bassi.
Solo nel pomeriggio viene l’Ora e si può alzare lo spinnaker. E’ un momento perfetto. Senso del compiuto: fatica e tramonto.
Dopo 6 mesi faccio l’esame a Genova, teoria e pratica. Divento Capitano marittimo di vela e motore oltre le 12 miglia.
La prima traversata è stata da Monfalcone, lungo la costa slava fino a Spalato. Abbiamo rischiato di scuffiare nel vento del Quarnero. Arrivare alle Isole Incoronate è come raggiungere la luna. Questi scogli, quando il mare è vuoto di vento, galleggiano come vulcani grigi e bassi.
Pesca e arte.
Il Monte Bianco lo vedi, ci sono rocce, ghiaccio e passaggi. Il mare, invece, si nasconde nel suo profondo. Non ci sono linee da seguire. Anche le correnti si scontrano.
Di fronte alla tela è lo stesso. Appoggio il polso e sono sicuro solo del primo gesto. Gli altri sono come ‘tuffarsi’. Non si vede il fondo. Idee e colori possono scappare di mano. Ruoto la tela e mi fermo a cercare qualcosa al di là della prima idea. L’arte può essere fortuna: anche l’errore può aprire una strada.
Di fronte alla tela è lo stesso. Appoggio il polso e sono sicuro solo del primo gesto. Gli altri sono come ‘tuffarsi’. Non si vede il fondo. Idee e colori possono scappare di mano. Ruoto la tela e mi fermo a cercare qualcosa al di là della prima idea. L’arte può essere fortuna: anche l’errore può aprire una strada.
Cristina: “Lei divaga!”.
“Mi vuoi togliere anche questo?”.