L’Onda e… Carlos Burle.
Parlare di sport nella mia vita non è facile. Solo ora trovo un intrigo di motivi e sentimenti: la paura di aver paura, la sfida con me stesso e con gli altri, la vanità a tutti i costi... insomma l’esserci. Quasi mi chiedessi: “Perché io no? Perché non potrei riuscire? Perché non vincere?”. Se dico questo è perché sulla prima pagina del Corriere, ho visto e ‘invidiato’ qualcuno. Sono le 6 del mattino e un uomo, il viso coperto di grasso di foca, si trova nelle acque dell’Oceano, davanti al Portogallo. E’ solo, aspetta che la tempesta di St. Jude ‘scateni’ la sua forza nel golfo di Nazare. Finalmente, arriva l’Onda ‘Madre’, alta come una casa di dieci piani. Così alta nella fotografia, che il cielo ha il respiro di un centimetro. L’uomo cavalca quell’onda. Lui e la sua tavola sono così piccoli che il redattore del giornale ferma l’attimo in un cerchio rosso.
Quest’uomo è Burle, un professionista, fa solo quello e ha sponsor importanti. Si prepara per mesi e fa tutto questo in pochi minuti, davanti a una ventina di persone con l’ombrello aperto. Non ci sono i riflettori… ma una tempesta grigia e senza tempo.
Quest’uomo è Burle, un professionista, fa solo quello e ha sponsor importanti. Si prepara per mesi e fa tutto questo in pochi minuti, davanti a una ventina di persone con l’ombrello aperto. Non ci sono i riflettori… ma una tempesta grigia e senza tempo.
Tuffi e pescecani.
Ritorno al passato. E cosa trovo? Solo tuffi dall’alto in buchi profondi tra gli scogli, la traversata del Ticino di notte e niente di più... Ecco, c’è Lampedusa negli anni ’80. Sull’isola, di pomeriggio, mi buttavo a Cala Creta e nuotavo fino all’altezza del Faro e ritorno. Sono circa 3.500 m., senza una barca in mare o un uomo a terra... gli isolani mi avevano parlato di pescecani Smeriglio. Nuotavo pensando alla ‘difesa’ con l’urlo di Hans Hass. Questo è stato il mio momento più ‘vicino’ all’Onda Madre.
Altre incredibili istantanee del mondo sottomarino di Chicco Maggioni si trovano qui
Da queste righe si capisce che ho preso due strade: una contro gli altri e l’altra contro me stesso. Di quest’ultima ho già detto.
La stanza dei trofei.
Mio nipote Guglielmo mi riporta alla realtà: “In fondo scrivi solo di un pescecane immaginario”. Se penso allo sport vero, concludo che sono stato dilettante del tutto e professionista del nulla. A Milano non avevo né tempo né voglia di ‘riordinare’ vittorie e sconfitte. Passavo da uno sport all’altro e la Pierina lavava e stendeva tute e magliette. Ora vivo a Celle, in una casa di tre piani dove ho sistemato passato, presente e poco futuro. A piano terra ci sono perimetri di lavoro e di difesa. Al secondo dormono i fantasmi. Al terzo due grandi camere: in una dipingo, l’altra è un ‘monumento’ a me stesso. Se apro la finestra vedo mezza collina di ulivi e tutto l’orto, il pollaio e, qualche volta, il gatto. Se mi volto ci sono coppe e medaglie, fotografie e attestati. Baj aveva capito! Sono asociale ‘q.b.’, e quasi nessuno vede queste ‘vittorie’... so che tutto finirà in cantina. Le nuore passano una volta all’anno e pensano: “Quanto spazio sprecato... sarà tutto oro!...”. I figli evitano confronti. Solo ieri, mio nipote Guglielmo mi ha chiesto: “Ti sei fatto una stanza di trofei?”. Mi guarda e dice: “Dai nonno, non venirmi a dire che hai un fisico bestiale!... Eppure hai vinto un po’ troppo. Persino il torneo di ping pong sulla Cristoforo Colombo”.
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Siete i veri americani.
Una pallina bianca su una nave da crociera: ora è un’idea metafisica, allora un’avventura di bordo con un’americana vestita a fiori, che seguiva il mio torneo. Mio padre lasciava perdere, ma era severo sulla forma: “Tutti in smoking per la cena di gala!”. Oggi giro in jeans e scarpe da infermiere...
Fine settembre ’56: arrivo a New York. Un lontano cugino ci aspetta allo sbarco con una grande Chevrolet verde pisello. Quando vede i nostri bagagli, dice ridendo: “I veri americani siete voi!”.
Fine settembre ’56: arrivo a New York. Un lontano cugino ci aspetta allo sbarco con una grande Chevrolet verde pisello. Quando vede i nostri bagagli, dice ridendo: “I veri americani siete voi!”.
Un costume amaranto e Bud Spencer.
D’estate, finite le scuole, vado in vacanza a Celle. Tre mesi di pesca e nuoto. Un giorno di ottobre, Neumann mi vede nuotare alla Cozzi. Dopo un mese ho la tuta della Rari Nantes. Partecipo alle prime gare e ne vinco qualcuna. Un giorno Neumann telefona a mio padre: “Se continua così... Guglielmo, lo portiamo in Nazionale”. Lui immagina subito cronometristi e bandiere a scacchi. Avventure e ambizioni finiscono quando arriva l’ungherese Huniatfy, nuovo tecnico della FIN. Le direttive sono allenamento 6 giorni su 7 e dieta stretta. Avanti e indietro a fissare quella riga nera sul fondo.
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"Mio padre, non so con quale fede, veniva a controllarmi di nascosto.
Vederlo in piscina, di pomeriggio, con un costume d’epoca, lana amaranto, lui, che per nessuna ragione al mondo lasciava la sua scrivania, è stato per me una ‘leggenda’ di amore e prepotenza. Quando sono andato ai Campionati Assoluti di Bologna, ho conosciuto Pedersoli. Era un mito per tutti noi... Oggi è "solo" Bud Spencer. La televisione è presente per la prima volta alla Cozzi di Milano. Mio padre schiera in tribuna tutti i familiari. E’ in gara anche Gilbert Bozon, campione olimpico e record del Mondo sui 100 dorso. Arrivo sesto e ‘mi prendo mezza vasca’. Mio padre mi toglie il saluto per una settimana. |
Scuola della strada e poca selezione
Qualche volta accade che io sfogli i ‘libri verdi’. Anche i ragazzi sono curiosi quando li vedono, dimenticati da un tavolo all’altro. Nessuno li legge. Sono attenti solo alle fotografie. L’altro giorno Alex mi ha chiesto: “Come ha fatto lei ad essere campione di nuoto, e dopo due anni juniores dell’Armani basket?”. Lui non sa che giocavo alla Forza e Coraggio e finivo gli allenamenti con Stefanini, Romanutti e Pieri... una sera ho passato la palla anche a Bill Bradley. Tutti insieme nello spogliatoio: prima squadra e juniores. Si sentiva l’odore di olio canforato e tutti mettevamo le famose ‘scarpette rosse’. Alex, quando sente i nomi quasi non ci crede. Lascio perdere.. non ho tempo per spiegargli quella che è una sintesi: scuola della strada e poca selezione.
Scuola della strada e poca selezione.
A Chiesa di Valmalenco saltavo da un sasso all’altro nel torrente Mallero. E con Gianni Pareschi, si ‘scalava’ anche una parrocchia in costruzione. Io per farmi le braccia, lui perché si sentiva già architetto. Quando sono arrivato a Milano, ho trovato altri compagni e molte strade libere. E così, i ‘tollini’, due contro due, sono stati il mio primo calcio. In Via Mannunzio, dietro la Cozzi, si tirava una linea sul marciapiede... e questa era arrivo e partenza di tutte le sfide. Tempo prima, era anche peggio. Ci si doveva accontentare degli spiazzi tra le macerie. Lì si giocava e lì tutto era invenzione: tornei, classifiche e anche ‘penitenze’. Correvamo tutti vestiti e con i sandali di cuoio.
Scuola della strada: da un sasso all’altro.
Alla fine della guerra, i ‘grandi’ lavorano per ricostruire e neppure guardano se studiamo o giochiamo.
Le auto sono poche.. e si va a piedi o in bicicletta. Uomini e donne la usano per andare al lavoro.
Alcuni diventano ciclisti... e Coppi, da garzone diventa Fausto Coppi.
Le auto sono poche.. e si va a piedi o in bicicletta. Uomini e donne la usano per andare al lavoro.
Alcuni diventano ciclisti... e Coppi, da garzone diventa Fausto Coppi.
I ciclisti, la domenica sono i veri ‘padroni’ della strada. Passano in comitiva, danno un voto al
sedere delle donne... e fischiettano le canzoni di Sanremo. Quello che mi ha insegnato la disciplina, è stato lo sport nell’Esercito.
La scuola dell’Esercito. Maggiore Pierini.
Quando sono andato alla Scuola Unica di Ascoli Piceno, dopo 3 giorni ero un ‘tappetino’. Io, come tutti gli altri delle 7 compagnie. Ordini duri, urlati... e tanti “STAI PUNITO!”. Motivazioni in bacheca: branda non squadrata, distrazione sull’attenti, saluto non corretto, bustina di traverso. Si facevano esercitazioni di guerra sotto il sole... cronometro alla mano. Ci si cambiava anche 4 volte al giorno e il nostro armadietto di ferro era un 50x200.
Alla Cecchignola di Roma, invece, ero più libero e leggero: una ‘scheggia’ di 66 kg per 176 cm. ‘Volavo’ per rabbia, per fame e per castità. Ho vinto a pallavolo e atletica. Mi hanno dato coppe, medaglie, fotografie e strette di mano di capitani e colonnelli.
Alla Cecchignola di Roma, invece, ero più libero e leggero: una ‘scheggia’ di 66 kg per 176 cm. ‘Volavo’ per rabbia, per fame e per castità. Ho vinto a pallavolo e atletica. Mi hanno dato coppe, medaglie, fotografie e strette di mano di capitani e colonnelli.
Trasferito a Milano, il mio ‘destino’ di tenente si trasforma per il discorso del Maggiore Pierini. Fresco di nomina, schiera tutti i reparti nella caserma di Piazza Firenze. Comincia, tutto sereno, il messaggio di presentazione alla truppa... poi, d’improvviso, esce con queste parole: “Soldati, vi dico che ai Generali non gliene ‘fotte’ nulla delle nostre esercitazioni notturne sul monte Penice. Non sanno neanche dove siamo e se esistiamo... Ma se un soldatino come voi, vince una corsa contro un bersagliere, ne parla tutto il Corpo d’Armata... E questo soldatino non farà più un picchetto”. Il Generale dei Supporti del Corpo d’Armata mi convoca e mi nomina unico ufficiale trainer. La Caserma di Piazza Firenze diventa un piccolo ‘villaggio sportivo’. Nelle gare di Bergamo e di Pavia è un successo inatteso.
Sono sicuro di me stesso e interpreto i servizi di picchetto e ufficiale di giornata a mio piacimento. Un’autoconcessione dal regolamento che poteva portarmi diritto a Gaeta. L’ultimo giorno, il Maggiore mi convoca nel suo ufficio. Mi mette sull’attenti e scandisce le mie note caratteristiche: “Eccellente sportivo, ufficiale valido nel comando, del tutto inaffidabile come disciplina. Non richiamabile”. Penso: “Insomma, Don Gianazza e questo Maggiore hanno su di me la stessa linea di pensiero”.
Sono sicuro di me stesso e interpreto i servizi di picchetto e ufficiale di giornata a mio piacimento. Un’autoconcessione dal regolamento che poteva portarmi diritto a Gaeta. L’ultimo giorno, il Maggiore mi convoca nel suo ufficio. Mi mette sull’attenti e scandisce le mie note caratteristiche: “Eccellente sportivo, ufficiale valido nel comando, del tutto inaffidabile come disciplina. Non richiamabile”. Penso: “Insomma, Don Gianazza e questo Maggiore hanno su di me la stessa linea di pensiero”.
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