Corriere della Sera, Martedì 10 Marzo 2015, Esposizione alla Bocconi.
L'arte di Spotorno, un inno alle vite in forma di colore.
di Roberta Scorranese
Per cogliere lo spirito e la sensibilità di Guglielmo Spotorno bisogna partire prima che dai suoi quadri (in mostra fino all'8 Maggio alla Bocconi di Milano) dalle sue poesie. E da un verso in particolare, che chiude la raccolta La linea della notte (Stamperia Editoria Brigati, pp.95, s.p.): “Nuoto / da un gavitello all'altro / ho sempre un gavitello da raggiungere”. Poche parole per tratteggiare una caratteristica che da sempre infervora questo 76enne metà ligure e metà milanese, poeta e pittore, manager e nuotatore, velista e cavaliere: l'insaziabilità. “Ho sempre voglia di nuovi traguardi, nuovi gavitelli” dice, mentre fa strada fra le sue tele, di medie dimensioni, molto diverse tra loro. Questa mostra racconta la sua vita pittorica a partire dagli anni '70, quando, dividendosi fra il lavoro nella grande azienda di famiglia (automobili) e l'inestinguibile amore per l'arte, nato dai tempi degli studi di Filosofia alla Cattolica e nella galleria della madre, in via Moscova, decise di allestire uno studio a Milano. Il resto ha la scorrevolezza di un destino ben scritto: “Ho vissuto insieme agli artisti, li ho visti creare. Ho acquistato le loro opere e ne ho studiato il tratto. Ho continuato a fare il mio lavoro di manager ma non ho rinunciato all'arte, prendendo dure lezioni di grafica e dopo, solo dopo, ho cominciato a dipingere seriamente”. Le prime tele hanno la ricercatezza di uno che si arrovella sopra quesiti esistenziali (racconta scambi dialettici con Emanuele Severino): insetti visti da vicino, cristallizzati. Si sente l'influsso del gruppo Cobra di Jorn e Sutherland. Un tratto sofisticato, attento: all'epoca Spotorno scherzava con Enrico Baj, andava a colazione con Guerreschi, collezionava ceramiche e metteva insieme una delle più belle raccolte di opere grafiche. Non è un interesse l'arte: è un amore profondo, un linguaggio che covava in Guglielmo silenzioso e bruciante. Vitale, “Un azzardo morale”, come lui stesso definisce il collezionismo – ne parla spesso anche sul suo sito www.guglielmospotorno.it
Ad un certo punto, sulle tele cominciano a comparire delle sfere, come giganteschi atomi che galleggiano. Riaffiorano le riflessioni filosofiche (la natura è tondeggiante, il triangolo è frutto di una speculazione, la giusta armonia tra i due mondi partorisce la conoscenza) ma forse c'è qualcosa d'altro. Bisogna farlo parlare, Spotorno. Portare in superficie gli anni della scuola, delle preghiere imposte, della messa obbligata, del rigore che, in seguito, ripudierà. Ad un occhio limpido, allora, non sfuggiranno le frequenti macchie nere nascoste sulla tela, ispirate a Kandinsky. Ad un occhio limpido non sfuggirà la bellezza spontanea e quasi bambina nella sua natura colorata di un dipinto grande come Caracas, posto all'inizio della mostra. C'è qui un'autenticità che verrebbe voglia di incoraggiare, un po' come nella bella serie delle Città umanizzate e delle Trasparenze: qui ci sono dei temi ricorrenti ed è come se, in una produzione seriale, il fervore di Spotorno trovasse margini più ampi, fosse più libero. E poi ci si soffermi davanti a una scacchiera bianca e blu (un colore frequente in Spotorno ma qui in una insolita vivacità): questo quadro si chiama Vacanza dalla vita (2014) e l'autore ci racconta la genesi: “avevo ricevuto una visita graditissima, ero felice e l'ho dipinto”. E' una delle tele più commoventi, perché qui scompare il dolore, scompare l'ansia, scompaiono ricordi ingombranti e pare quasi di vedere l'artista che si riposa, finalmente, su un gavitello raggiunto. Che cosa possiamo augurargli? Un'altra vacanza dalla vita. Lunga lunga.
[email protected] Fonte: Corriere della Sera, 11 Marzo 2015 |