8000 metri sull'Himalaya: il coraggio di rinunciare.

Qui ho potuto sfogarmi tra sci, alpinismo e arrampicata. Cime meravigliose insieme a veri professionisti della montagna. Gli anni passano, il richiamo è sempre stato fortissimo, fino a portarci con un pizzico di follia a intraprendere due piccole spedizioni in Himalaya, di cui una al Kanchenjunga, terzo ottimila.
Fatta con tanta umiltà e fatica, probabilmente neanche poi così tanto preparati, ma la gioia di poter ammirare un 8000 è stata qualcosa di grandioso. Mai avrei pensato di piangere al cospetto di una cima così imponente.
Con le tue parole mi ha convinto a mettere in rete e condividere sul tuo "diario di bordo" un insieme di ricordi legati a quei giorni. Ricordi che non vogliono dare un senso tecnico, una sfida sportiva, ma semplicemente raccontare con immagini genuine quello che abbiamo vissuto con il cuore: l'avvicinamento al campo base a 5000, un tentativo di salita per poi essere colpiti da neve e freddo e scendere più velocemente possibile. Decidere di scendere, ritornare al campo base, sapendo che da non professionista hai solo una possibilità. Sei come un turista, provi, se va male torni; non puoi ripetere, non sei organizzato per farlo.
Questo fa male. A 6000, dopo che hai consumato tutto quello che hai, non vuoi scendere. Poi la razionalità ha il sopravvento, non devi dimostrare nulla, la vera conquista è saper riconoscere i propri limiti, saper tornare a casa.
Forse un po' incoscienti, un po' avventurieri. Tanto rischio. Assaggiato l'ebrezza dell'alta quota chiudiamo i ricordi con immagini scherzose, allegoriche, proprio per sottolineare quanto in quei giorni ci siamo trasformati, cambiati, quanta paura abbiamo condiviso.
Paura giusta che ti fa rimanere concentrato e ti rende felice quando ritorni a casa ma con quel richiamo e amore per la montagna sempre più grande."
Con affetto,
Marco