
Qualche mese fa ci siamo ritrovati. Il mare, ancora lui.. Qualche mia fotografia e qualche impressione sono ora ospitati sul suo ‘Diario di Bordo’. Nel frattempo, tra una telefonata e l’altra ci siamo lasciati con l’idea che un giorno sarei andato a trovarlo a Celle.
Mi racconta: <<...un giorno presi una matassa di filo da pesca e provai a sbrogliarla trovando un capo e tirandolo da un lato. Ma che fai, mi disse il pescatore, per sbrogliare devi "fadare", devi infilare le mani nella matassa ed allargare, devi tirare da un lato e dall’altro, altrimenti, se tiri da un lato solo e c’è un amo dall’altra parte la matassa si stringe. Ho collegato questo concetto al diritto. Per vincere le cause devi studiare il punto di vista della controparte, devi "fadare">>.
Continua: <<Il mio maestro Ali mi ripeteva sempre: "Dai fada, fada, fada, fada!". Il suo imperativo era allargare, "fadare", che vale non solo per imbrogli e grovigli. Le matasse di nylon ma anche quelle della vita. Se tutti fadassero gli avvocati sarebbero la metà della metà, come in Giappone, e i tribunali semi vuoti. In Giappone non ci sono scuse, ci si affida alla clemenza della corte con un inchino, se va bene, se no si fa harakiri. In Giappone odiano i contratti con troppe clausole, a differenza degli Stati Uniti, dove ci sono più avvocati che persone. In Giappone "fadano">>.
E ancora: <<In montagna, per sentieri, ho imparato a guardare le rocce che danno la direzione. Quando superi la roccia devi girarti e vedere come ti appare nel verso opposto: quando scendi è cosi che la vedrai>>.
Cambiare verso, reciprocità, mettersi nella posizione dell’altro per vincere una causa, mettersi nei panni dell’altro per sentirne lo stato d’animo o condividerne un’emozione, o anche la sofferenza. Hemingway, su una baleniera, scrisse: "se le balene potessero urlare il loro dolore, tutto questo avrebbe fine". Si era messo nei panni di una balena, aveva visto la roccia nell’altro verso, aveva "fadato" la matassa. Aveva provato rispetto per la balena, comprendendo che rispetto è innanzitutto il riconoscimento di un diritto (in quel caso, come in altri, il diritto fondamentale all’esistenza).
Poi gli ho chiesto: <<E dopo che li hai fatti, che ne fai?>>. Risponde: <<Li faccio girare, li rimetto in circolo. Li muovo. Questo mi ha insegnato mio padre>>.

<<I quadri devono muoversi>> mi dice <<non devono stare sempre appesi fermi allo stesso chiodo, altrimenti diventano tappezzeria>>.
I soldi devono girare, i quadri devono girare, passata la roccia che da la direzione, ti devi girare, quando prendi una matassa in mano devi girarla. Nello hatha-yoga, tra le varie asana (posizioni meditative), esistono le posizioni capovolte, che ribaltano la normale postura testa-piedi (quella che assumiamo normalmente quando deambuliamo) nella postura inversa piedi-testa: sul pavimento si mette la testa, e per aria i piedi. Le implicazioni psico-fisiologiche sono potentissime. Tra queste, l’inversione del "punto di vista" genera nuove percezioni, e quindi nuova co(no)sc(i)enza di se.

Il mare, paura del mare. Mi dice: <<Ho affrontato il mare in ogni situazione e con ogni mezzo>>.
Gli chiedo: <<Hai mai avuto paura?>>
<<Si, prima di entrare in mare. Poi, quando nuoto in mezzo alle onde, non più. E’ tutta una questione di tecnica, non di fiato. Devi nuotare a dorso, con gli occhi puntati verso il largo, per vedere cosa arriva e mai dargli le spalle. A volte ho rinunciato, ritenendolo inavvicinabile. Giusto cosi>>.
Non mi hai mai raccontato, prosegui. Io fotografo il mare da fuori ma tu l'hai vissuto da dentro: <<Quando entri in un mare cattivo è più questione di tecnica che di fiato, un po' pesci un po' gabbiani. Quando vedi la 'serie' di tre, quattro onde che frangono, anche se sei al largo devi nuotare incontro. Veloce, testa fuori. E dopo capriola, per cercare il fondo anche due tre metri e risalire veloci per prendere quella dopo. L'attimo di 'libidine' è quello di sentire la forza dell'onda che si scarica sulle tue caviglie. Mai stare fermi, e non cercare di superarle di cresta. Per uscire si deve essere più forti nel dorso che nello stile libero. Il dorso serve anche per tenere sotto controllo la corrente. La corrente è un vero pericolo. La si misura già coi piedi nella schiuma. Si capisce se è a levante o a ponente. E si entra nella parte opposta. Ma anche questo può non bastare>>.
"La sacaa in sta schenn a".
<<Si deve prendere un riferimento a terra e seguire di quanto si 'scarroccia'. Se è forte, prima provare a rientrare un po' a dorso e un po' a stile. Mai dare le spalle al mare. Quando onde e corrente fanno veramente paura si staziona quasi al gavitello. Si comincia a rientrare dopo una serie. Quando si è a metà della boa si deve anche tornare al largo se ne arrivano delle altre. Mai chiedere aiuto. Mai aver fretta, Sempre in relativa scioltezza. Mai di forza. Si deve essere un po' pesci e un po' gabbiani. Da terra bagnini e bagnanti fanno solo confusione. E sopratutto se guardi loro dai le spalle al mare. E "la sacaa in ta schenn a è garantia">>.
Non si può raggiungere la seconda senza il primo. Chi si muove, come ci si muove? L'uomo può muoversi verso il mondo, come un camminatore in montagna, come le mani in una matassa. Se ci si muove non solo casualmente aumentano le possibilità di aumentare la conoscenza. Però può muoversi anche il mondo verso di te.
Per godere le onde basta stare fermi, sono loro che ti arrivano addosso. Ma devi oculare la posizione, ed anche qui non conviene stazionare completamente a caso. Il caso è in quello che si trova, o perché andiamo cercando, muovendoci noi, o perché stiamo fermi, facendo incontri.
<<Gugi, perché hai iniziato a scrivere un diario di bordo? Qual è lo scopo?>>
<<Non ho iniziato con uno scopo. Lo scopo lo sto trovando per strada. Lo scopo è nella conoscenza che vien fuori connettendo persone ed esperienze. Come è questo diario di bordo: connessione di persone ed esperienze>>.

Mentre passeggiamo ai piani alti di villa Giulia, dove le stanze sono connesse in un unico grande studio pittorico, mi mostra i suoi quadri e me ne parla: <<Non devo spiegarti niente dei miei quadri, devi vivere la tua emozione. Io ho vissuto la mia dipingendo, tu vivrai la tua osservando>>.
Gli chiedo dei suoi figli, se qualcuno di loro ha preso le sue passioni e sensibilità anche per l’agricoltura, la pesca, le arti ed i mestieri che in fondo ci legano con la vita. Mi dice: <<No, nessuno ha preso quasi niente...>>.
Conoscenza, coscienza.
Ottenere conoscenza muovendosi e stando fermi. In ogni caso affrontando la relatività del moto non completamente a caso. Perché? Perché è conoscendo che si diventa coscienti. Ma perché è importante essere coscienti? Perché è importante avere una qualche percezione di se? L’alternativa è uno stato non cosciente, vegetale. Lo scrittore Fernando Pessoa, nel suo ‘Libro dell’inquietudine’ condanna l’esistenza umana ad un oblio, in cui la migliore delle condizioni è il sonno, uno stato di non vita e non morte. Perché conoscere è uccidere, ma non conoscere è non esistere.
Quando arrivano le onde andate da loro, e quando siete di fronte ad una mareggiata osservate, ascoltate, fatevi attraversare, fatevi elevare.
Ma state attenti a come vi muovete, o a come non vi muovete.
Sasha
dr. Alessandro "Sasha" Benedetti
IENI-CNR
Consiglio Nazionale delle Ricerche
Istituto per l'Energetica e le Interfasi
www.sashawaves.com