Tutto è surreale, ma anche doloroso per me che entro ed esco nel tempo passato, presente e futuro come se avessi una porta girevole di un albergo aperto 24 ore su 24. Questi i miei sogni, questi i miei incubi.
Ho scritto di getto pochi minuti fa queste righe. Rispondono alla mia attuale vanità e alla mia più concreta incertezza del futuro: quando muoio? E come muoio? In passato pensavo di fare una fortezza in cui le armi di difesa erano lettere di importanti affari, fotografie di quando ero giovane e attestati di diverso genere. Ora, quando vado a letto, mi vedo e sento da un lato il ridicolo di queste polizze assicurative e dall'altro la modestia di fogli di carta che verranno buttati dalle mie nuore dopo la mia morte. Tutto è surreale, ma anche doloroso per me che entro ed esco nel tempo passato, presente e futuro come se avessi una porta girevole di un albergo aperto 24 ore su 24. Questi i miei sogni, questi i miei incubi. E' vero che il presente è figlio del passato. Ma io sto esagerando. La mia camera da letto sembra un album di francobolli con quadri e quadretti rassicuranti. Foto, attestati e scritti di successi nei campi più diversi. Prima erano trofei, oggi mi sembrano tristi assicurazioni... che non fermano il tempo. Anzi, in un temporale di follia mi sento un po' un Fantozzi nevrotico e sfortunato, un po' un superuomo datato. E così entro nei miei sogni, dove ritrovo gli incubi di tredicenne (vedi anche http://www.guglielmospotorno.it/incubi.html). La Gloria e Riccardo mi dicono: "Tolga tutti quei quadretti e quei chiodi e diamo una bella mano di bianco!". Il mio Io sarebbe d'accordo, ma rimane sempre e comunque immobile. Sono in un momento di ragionevole follia. La mia penna scrive per suo conto. Sceglie sostantivi e aggettivi in armonia. Mi chiedo... Sono io che detto queste parole o è un altro? Un vero letterato che sceglie le parole una ad una stando nascosto in un angolo del mio cervello. O cuore che sia. E' così difficile essere se stessi vicino alla morte, alla fine di tutto. Le vedo le mie nuore, una alla volta e tutte e tre con un sacco nuovo tenuto davanti alle gonne: "Questo via... questo anche... e questo? Per l'amor di Dio! Che suocero vanitoso! quanti chiodi e cornici sprecati"
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Guglielmo SpotornoChiamato Gugi, è più cellese che milanese. Archivi
October 2021
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