Un esempio: decido di alzarmi dalla sedia davanti al computer, per vedere meglio e essere più chiaro. Vado al bagno, chino la testa con gli occhiali sotto il rubinetto dell'acqua calda e la prima cosa che sento è l'odore marcio che viene dal sifone. Sembra quasi che non possa fare nulla senza avere l'intruso di un altro sentire.
"LEI SI STA FACENDO E FA FARE SEGHE MENTALI. SI ATTENGA AL TESTO, PREGO."
E' vero. Se butto via la penna e i tasti entro nello spazio del foglio, della carta, della tela. Il segno ha confini precisi; l'orizzonte è là, venti centimetri sopra la mia matita. La riva, da cui inizia il mio sguardo, è appena qui sotto. Questa è la ragione per cui tutti scrivono? Perché non ci sono confini di spazio, le parole si mettono in fila e invadono i territori, magari proprio con la loro inutilità.
Sto un po' vaneggiando contro me stesso e un po' avvicinandomi al centro del problema: serve qualcosa e a qualcuno tutto questo spazio? Esiste un po' di creatività autentica? Per me sì, ed è sempre quella del blu. Il blu oltremare inciso da una pennellata di blu d'oriente, e là... là sopra il blu light stempera nel bianco, e sotto si aggruma attorno al prussia, sino alla concessione di due o tre virgole di ceruleo come le camicie di Van Gogh.
Ricordo di quel mare, che è sempre presente, come una mia cittadinanza.
Musica: Tom Waits - "Blue Valentine"
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