Ho cominciato a mangiare focaccia tutte le mattine: sceglievo l'ora in cui lei veniva dietro il Bancone. Io non la vedevo mai intera, ma solo i capelli corti e ricci, gli occhi castani. Portava sempre un vestito che sembrava tagliato da una tovaglia, ma il seno era disegnato bene.
E io pensavo a quello: non mi interessava che alcuni mi dicessero che era bassotta di sedere e di gamba corta, a me interessava quella metà, pallida come chi sta sempre in mezzo alla farina. Io credevo che capisse, ci stavo dei minuti: focaccia semplice, con le cipolle, focaccia alta, bassa. Finivo sempre per aspettare le prossime teglie. Appena sfornate sono calde e vale la pena aver pazienza.
Diventando grande non ho mai avuto pazienza. Allora che non sapevo nemmeno cosa fosse un bacio vero e avevo visto una volta un seno, quello di mia madre, avrei aspettato una vita.
Mi sedevo su quei sacchi grossi di castagne secche, di fagioli, di fave che stavano a terra nelle panetterie.
Di notte, a letto, quando mia zia dormiva, cantavo quasi in silenzio 'Anema e core': "Tennimoce acussi', anema e core, nu ce lasciammo chiu'manco pe n' ora".
Una mattina con pantaloni corti tirai una riga nei capelli umidi e andai dalla panetteria. Entrai e dissi: "Carla, vieni fuori un minuto, ti devo cantare una canzone. Scusami sono un po' stonato, ma l'ho provata, e riprovata".