voglio lasciare "la tavola apparecchiata" perché tutti vi possiate sedere tranquilli il giorno dopo, ma il mio orologio è bianco, smaltato, senza numeri. Passato, presente e futuro si inseguono su quella sfera, e tutti e tre sembrano avere ragione. Il metodo di analisi, sintesi e connessioni successive, in cui ho sempre creduto, lascia dubbi sul campo. Perché?
Perché so che non potrò più tornare indietro e correggere. L'istinto, più saggio della ragione, mi dice "Lascia perdere! Tu sei responsabile del tuo tempo, della tua vita, non puoi metterti sulle spalle gli errori futuri dei tuoi figli. Saranno poi errori? Ne sei così sicuro? Certo, tu lo sai Guglielmo. il tuo modo di pensare, e anche di agire, ha più fascino, ma sei sicuro che i più ti chiedano questo fascino? Le persone sono anche più semplici di quello che tu immagini, e di quello che tu desideri."
Avete ragione. Tutti questi giochi faticosi o leggeri di fantasia, me li devo tenere sulla tele dei miei quadri. Lì ho spazi infiniti, personali. Lì ci sono cieli, soli e lune lontane, anche racchiuse in pochi centimetri di spazio. La prospettiva la si crea con due punti di matita su una superficie bianca. C'è una certezza. Ma quando entrano le unità di misura, chilogrammi, metri, numeri e poi somme, divisioni, sottrazioni, allora la tavola diventa un problema. Apparecchiare con quel vento di amore, d'invidia, di giustizia... tutto vola in aria, e l'orologio resta bianco smaltato senza numeri a dirmi che il tempo te lo sei inventato tu, Guglielmo.