Guglielmo Spotorno
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Diario di bordo

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Tra suore e peccatori.

24/10/2016

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Il mio cimitero è bello. Dopo le ultime case di Celle, campi di viti e pesche, si sente che il mare è là. Forse la gente di quei tempi voleva avere i parenti vicini. Oppure era un semplice motivo di risparmio. Con una strada sola riunivano cimitero e la più piccola frazione: Sanda. E quando passava il pullman azzurro della Sati dovevo stare attento a non finire contro il muro con la bicicletta. E pensavo: "Sarebbe ridicolo raggiungere i miei morti, sepolti a pochi metri.". Se invece, lasciata la bicicletta, andavo a vedere la mia cappella... Non sentivo un luogo di pace e di silenzio. Il cimitero costruito vicino a una collina, forse in cerca di protezione, ma anche di originale bellezza della natura. I pioppi, gli ulivi e le palme circondano in modo disordinato le mura esterne e tutto dava a me bambino la sensazione di essere in un posto dentro la vita.  ​
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Alcune cappelle avevano il colore famigliare delle case. Non c'erano corone di fiori ma solo qualche pianta grassa... Stavano lì a far del verde. I parenti degli altri morti si dovevano accontentare di una tomba di terra. Qualcuna con fiori naturali e altri con quelli finti. Questo dipendeva dal rapporto di parentela. Mi accorgo che quello che sto scrivendo può dare l'impressione che il mio cimitero sia triste e povero. Non è così: sugli alberi vicini è un continuo cantare e volare degli uccelli che qualche volta si fermano sulle croci di legno della gente comune. Ricordo che nessuno si accorgeva di questa differenza, rimaneva l'unione dell'amicizia, che qualche volta poteva risalire a molti anni prima, e qualcuno si dava una stretta di mano come se stesse sulla passeggiata a mare. 
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Guglielmo Spotorno: "Suor Maria della Natività" (8 anni, prima emozione amorosa)
Solo alcune donne avevano il 'dovere' di vestire di nero e di piangere il marito morto uno o due anni prima. Me ne ricordo poi una che aveva la mania delle pulizie. Non si fermava neppure a pregare, arrivava con un secchio d'acqua e una spugna di crine e ripuliva tutto quasi per dire: "L'ho fatto lucido come il tavolo del mio salotto". Questa donna si chiamava Bruna, metà ligure metà emiliana, era conosciuta per la sua generosità e per i ripieni di verdure che metteva da tutte le parti. Alcuni dicevano che si facesse i ravioli, una volta rimasta vedova, e li mangiasse da sola.        ​
L'altro 'peccato', passato il lutto, è stato che tolti i panni della contadina e messi vestiti orribili e pieni di pietrine, andava a ballare di nascosto in una trattoria dell'entroterra che non a caso si chiamava 'Milleluci'.
Ora la Bruna si trova nella mia cappella di famiglia dopo essere stata prima guardiana e poi, nel tempo, più che famigliare, e alla fine 'Direttrice' di tutta casa nostra... Pochi anni dopo, anche se si chiamava Ghirelli, l'ho ospitata nella tomba di famiglia. Questa tomba degli Spotorno, per uno che ha fantasia, ricorda un condominio di 'aspiranti al Paradiso'.                   
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Lo schieramento religioso completo del mio dipinto "Suor Maria della Natività"
Entrando a sinistra c'è un vero schieramento religioso: le mie tre zie Angiolina, Pietrina, ed Ene, erano tutte e tre suore nell'ordine delle Gianelline (Allora si andava in convento anche per motivi di povertà, ma soprattutto di culto). Dopo di loro c'erano subito uno zio frate, del quale non ho mai saputo il nome, e naturalmente zia Ester, che visse sempre 'castamente' sia di giorno che di notte in ricordo di sua madre. 
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Zia Ene, madre superiora
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Zia Ester
Le altre ospiti sono, come ho detto, la Bruna e mia cugina Letizia, della quale l'unico peccato che si ricordi è quello di andare di nascosto a prendere una caraffa di gelato alla crema al bar Nazionale. Nella parte entrando a destra ci sono quelli che di certo hanno 'frequentato' il peccato.  
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Mio padre discute con Papa Paolo VI
Impermeabile e cappello - Poesia di Guglielmo Spotorno

Questo è un uomo che non ho mai capito... mi era vicino solo per il cognome.

Pubblicato da Guglielmo Spotorno su Giovedì 17 settembre 2015
La mia poesia ispirata a Zio Giovanni Spotorno
Mio padre Franco, mio zio Giovanni (solo veniali, vedi "videopoesia" qui sopra), ed è chiaro che ci sono anch'io che mi sono preparato il mio colombaio (che brutto nome!) e mi son messo una fotografia mentre tolgo le sardine dalla rete con tre miei amici pescatori.
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Ho fatto questo non per vanità ma per essere ricordato in un momento di vita felice e non con quei visi allucinati che si trovano nelle fototessere. Soltanto  un'illusione per far sorridere i miei nipoti. E non certo per i cellesi. Il loro commento sicuramente sarà: "Anche da morto ha tempo da perdere". Mentre io credo che con Dio, se c'è, troverò sempre un compromesso. ​​
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    Guglielmo Spotorno

    Chiamato Gugi, è più cellese che milanese.
    ​Da bambino, da ragazzo, da grande. Qui ha incontrato Agata, che ha sposato, qui sono nati i primi disegni e da questa e dal suo vento sono nate le sue poesie, che lancia in aria come aquiloni. Anche colori e dipinti nascono da questo mare e da questo sole.

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