Parla di Celle, dei genoani e degli uruguagi.
E io lo pubblico a dispetto delle regole di comunicazione con il computer.
I liguri, la pelota e Juan Alberto Sto pulendo i tremagli sotto gli occhi di due Milanesi, cercano coralli e conchiglie da mettere sul comodino. Sento grida e fischi. Dietro la fabbrica di Baglietto spunta un Accelerato. E' pieno di genoani in bandiera e cartelli, affacciati ai finestrini come reclute. <<Van a Zena - dice Agostino che mi sta aiutando - pe festeso u ritorno in serie B>>. (Agostino Perata, 'Gustin' detto "Biancaneve" perché era nero di pelle - NdA) E' strano, io penso, i liguri sono gente di sale negata all'entusiasmo; ma quando si tratta del Grifone il sangue fermenta come vino nelle botti. Non si tratta più di serie A o B, esiste il Genoa e basta. L'accelerato rossoblù si dissolve lasciandosi dietro il senso di una felicità quasi infantile di quell'ultimo cartello, gridato al sole: ‘genoani si nasce, sampdoriani si diventa’. Cosa avrebbero detto i vecchi marinai? Quelli della costa, che navigavano mari e oceani pieni di fame e di rabbia. Mi allontano con il pensiero. Seguo quella rete che mi passa tra le mani, maglia dopo maglia. Ricordi disordinati. Gli ex voto dei marinai nella chiesetta di Noli e mio nonno Domenico: caduto dall'albero del <<Fortuna>>, si è piantato sul ponte e ha gettato un urlo che i gabbiani volarono via. Vedo arrivare Tonino (Tonino Cerisola - NdA). E' come una mela spezzata in due: metà per i suoi stabilimenti balneari, l'altra metà tutta per il Genoa. D'estate affitta le cabine ai milanesi; se invece arrivano i tedeschi, fa finta di non capire e ripete, come sovrappensiero: <<Tutto occupato, tutto occupato>>. Ma d'inverno il suo cuore è tutto genoano; <<è di quelli che vanno a San Benedetto del Tronto a gridare forza Genoa, e magari a prendere qualche legnata>>. Tonino, caro amico, era un dilettante della bici. Diventava ‘professionista’ solo per la Milano-Sanremo: <<Tenevo le ruote dei Binda, dei Girardengo, quasi sempre alzato sui pedali>>. Arrivato a Celle Ligure, qualcuno gridava: <<Mamma Rosetta, ha buttato la pasta!>>. Lui non aspettava altro, voltava verso casa e lo mettevano a letto che era viola, altro che trenette col pesto! La Milano-Sanremo continuava senza di lui, e così tutti gli anni. Con gente di questo calibro, di questa forza, al seguito, come si fa a non diventare campioni del mondo? Questa gente se lo merita, non può vivere sempre di ricordi, delle fotografie in mutandoni del Genoa Cricket and Football Club, o di quello che, lontano, hanno fatto i figli della Liguria: i leggendari Gambetta, Scarone, Vernazza, Schiaffino. Indimenticabile Juan Alberto, trapiantato sul rio de la Plata dal porto di Camogli, da dove erano partiti i nonni. Juan Alberto, il simbolo di quella misura, di quella sintesi, che sottende tutto il calcio (ligure) uruguagio. Il calcio più intelligente del mondo, fatto di saggezza, valutazione esatta di quello che si può e non si può fare. Uomini alti e duri, coscienti dei propri limiti rispetto ai vicini e nemici brasiliani, neri che possono tutto in palleggio e acrobazia. Veri cavalli matti, che madre natura ha dotato di caviglie e fantasia superiori. E allora cosa fa il ligure Schiaffino? Tiene la palla bassa, la fa viaggiare in dialogo stretto e misurato, a filo d'erba. I neri si smarriscono di fronte alla sua razionalità. Il Pepe, esce dal Maracanà, campione del mondo. È la vittoria dell'intelligenza. Dato uno Schiaffino al Genoa, qualcuno in cui quelli della tribuna Nord possano veramente credere e magari picchiarsi: <<U nu se po pigià de cartele pe dei stanchi e di figiuame>>. A questo punto, lasciando perdere certi vecchi genovesi, che per mettersi ‘a ridosso’, viaggiano in millecento, mentre le loro navi girano per il mondo. Possibile che nessuno capisce… fare un grande Genoa è il modo per entrare nella storia. Magari vicino a Cristoforo Colombo. Guglielmo Spotorno | Scarica l'articolo originale in formato pdf |